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Democrazia europea, una discussione difficile

L’Europa neoliberista ha messo in un angolo la democrazia e la gestione della crisi rischia di indebolirla ancora di più. Su come rilanciare la democrazia in Europa si è aperta una discussione difficile, ma urgente

Tra i temi posti dal Forum “Un’altra strada per l’Europa”, promosso da Sbilanciamoci! e altre reti europee, tenuto al Parlamento europeo il 28 giugno scorso, la questione della democrazia in Europa era centrale (i materiali, i video e il documento finale sono su www.sbilanciamoci.info). In questi mesi, la discussione internazionale su come rilanciare la democrazia e costruire una politica all’altezza della crisi europea è andata avanti in molte direzioni, con interventi importanti pubblicati dal sito inglese OpenDemocracy , in uno spazio inaugurato dall’articolo di Rossana Rossanda che aveva aperto la discussione su “La rotta d’Europa” (raccolta negli ebook di Sbilanciamoci).

Lo studioso inglese Ash Amin pungola la sinistra organizzata – i sindacati e i partiti socialdemocratici – accusandola di non avere più, come in passato, il cambiamento della politica e della società come parte della propria missione. In Europa, tra il 1880 e la prima guerra mondiale, i movimenti dei lavoratori sono riusciti a diventare organizzazioni di massa che hanno cambiato il senso della politica, progettato utopie credibili e immaginari di emancipazione, e riuscendo a convertire le rivendicazioni in risultati concreti attraverso un’efficace organizzazione. La stessa scintilla si intravede oggi nei movimenti ribelli che cercano di strappare un nuovo spazio politico per una società più giusta, ma si perde nelle parole dei portavoce ufficiali della società civile e politica; la sinistra organizzata – continua Amin – dovrebbe ritrovare la sua capacità di immaginare una nuova visione del mondo, rivoluzionaria rispetto all’esistente, e di perseguirla attraverso lotte politiche concrete – ad esempio inventando forme eque di mercato e di scambio reciproco, trovando modi creativi di costruzione dell’interesse pubblico, con la capacità di vedere l’eterogeneità come il mezzo attraverso il quale perseguire l’equità e l’etica della cura.

E sulle nuove forme di una “politica sotterranea” che nasce dai movimenti europei contro l’austerità insiste Mary Kaldor nell’intervista pubblicata su Sbilanciamoci.info (i materiali inglesi sono su www.gcsknowledgebase.org).

Per capire le dinamiche e le motivazioni della partecipazione politica, tuttavia, le teorie della democrazia liberale sono ora inadeguate, secondo il sociologo tedesco Claus Offe. Non si può pensare alla mobilitazione sociale come fonte di instabilità e di pericoli “totalitari”: la teoria liberale, ma anche il modello socialdemocratico di capitalismo democratico, hanno raggiunto le loro date di scadenza, nei punti di svolta della seconda metà degli anni ‘70 e del dopo-1989. Quello che manca alla teoria politica di oggi è una giustificazione teorica o normativa di una realtà in cui i mercati vincolano l’agenda delle politiche pubbliche, che però non possono fare quasi nulla per vincolare a loro volta il regno di un mercato in continua espansione. Viviamo immersi – continua Offe – in una logica della pervasività delle leggi dell’accumulazione, del profitto, dell’efficienza, delle logiche della competitività, dell’austerità, della privatizzazione, della deregolamentazione e soprattutto della vittoria del mercato sulla sfera dei diritti sociali, sulle politiche di redistribuzione e sulla sostenibilità ecologica. In un mondo dove la giustizia è ridotta ad essere la “giustizia dei mercati”.

Gli organismi sovranazionali, come i vertici europei o il G20, sono apartitici nella loro composizione e coinvolti in operazioni a porte chiuse che li pongono al di fuori del ciclo democratico di trasparenza e responsabilità nel prendere le decisioni sul bene pubblico: a sempre più cittadini sembra che le questioni fondamentali di politica fiscale e di bilancio siano guidate dalle agenzie di rating e dalle altre forze dei mercati finanziari. Ci sono quattro possibili sbocchi a questa crescente sfiducia dei cittadini nei confronti della politica, secondo Offe: una “politica fai da te” chiusa all’interno della società civile; effimere esplosioni di violenza di massa nelle grandi metropoli, come abbiamo visto a Londra, Parigi, Atene; la crescita ulteriore del populismo di destra in tutti i paesi europei; infine un tentativo di approfondire progressivamente la partecipazione politica attraverso nuove opportunità istituzionali e procedurali che consentano alle persone di alzare la “voce” in modo più diretto e incisivo di quanto fino ad ora sia stato permesso attraverso le istituzioni rappresentative.

Mentre in Francia prevalgono voci critiche di ogni ulteriore passaggio di sovranità all’Europa, il dibattito tedesco sull’Europa è stato analizzato da Ulrike Guerot, che sottolinea la diversità degli scenari possibili, dal percorso verso una vera e propria unione politica a un rapido disfacimento dell’euro, del mercato unico e della stessa Unione. Di fronte alla crisi della Grecia, c’è in Germania chi vuole mantenerla all’interno della moneta unica, e chi parla di un “piano B”, un “Grexit”, l’uscita cioè dall’euro, che potrebbe verificarsi subito dopo le elezioni americane. Dopo la sentenza della Corte costituzionale di Karlsruhe che ha dato il via libera al Fondo salva-stati, l’opinione pubblica tedesca – secondo la Guerot – è disposta ad accettare aiuti temporanei per gli altri stati dell’Unione europea attraverso il Fondo europeo di stabilità finanziaria (EFSF) e il Meccanismo europeo di stabilità (ESM), ma non accetta un impegno durevole verso un’Unione fiscale. Anche se questo elemento sarebbe probabilmente essenziale per la sopravvivenza dell’euro. Agli occhi tedeschi, la questione dell’Unione politica deve essere risolta prima di parlare della mutualizzazione del debito: il messaggio chiave è che gli eurobond (o una licenza bancaria per l’ESM) non sono “gratis”. Gli altri paesi della Ue devono portare una dote per il matrimonio, impegni rigorosi di politica fiscale e un trasferimento di sovranità. La Germania sembra pronta a rinunciare alla sovranità sul bilancio in cambio di una riforma strutturale del Parlamento europeo (in questo quadro è nata l’idea di creare una seconda Camera composta dei parlamenti nazionali), ma alcuni paesi, soprattutto la Francia, non sono disposti a cedere ulteriori elementi di sovranità.

Di fronte alla necessità di avanzare proposte concrete su come democratizzare l’Europa, la discussione si fa più difficile. Etienne Balibar, nella sua replica a Jurgen Habermas, sottolinea l’urgenza di trovare un’alterbnativa alla “rivoluzione dall’alto” di una governance economica europea priva di ogni controllo democratico. Da più parti viene ora la proposta di lanciare un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale che ridisegni l’Europa, con un processo guidato dal basso, per rimettere in gioco gli assetti fondamentali dell’Unione. È un tema ripreso anche da European Alternatives che tuttavia teme la prospettiva di una nuova conferenza inter-governativa che perderebbe la legittimazione dal basso e che eleverebbe a rango costituzionale le politiche di austerità realizzate fino ad ora.

Da qui parte anche la proposta del Movimento Federalista Europeo che nella sua petizione al Parlamento europeo chiede il rafforzamento dell’unità politica a partire dai paesi dell’eurozona, la convocazione di un’Assemblea o Convenzione costituente composta da rappresentanti eletti dai cittadini a livello sia nazionale che europeo – oltre che dei governi e della Commissione europea – con il mandato di elaborare una Costituzione federale superando i veti nazionali. La proposta dei federalisti si accompagna all’idea di promuovere un’Iniziativa dei Cittadini Europei che chieda un piano europeo di sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile, con la riconversione ecologica dell’economia, energie rinnovabili, ricerca e innovazione, finanziato con risorse proprie della Ue. La discussione è aperta, e non sarà facile costruire una convergenza su proposte condivise.